Premio Letterario Nazionale “Carlo Piaggia”
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Di Muro Chiara

L’inizio della discesa

Sembrava tutto normale. Come tutte le mattine la sveglia suonò alle sette in punto. Dal fondo della scala la voce di mia madre: “Alzati o farai tardi!”. Andai in bagno per una sciacquata, poi scesi di sotto. Sul punto di addentare il mio pancake alla nutella, lei mi bloccò il braccio forzandomi a guardarla: “Signorina, hai capito bene? Pretendo che tu mi dia retta, altrimenti puoi scordarti di andare a quel ballo…” Mi irrigidii e le risposi acida: “Va bene, hai vinto, contenta?” Terminai di mangiare e volai di sopra a prepararmi. Guardai l’orario: le otto. Entro dieci minuti sarei dovuta essere in classe. Zaino in spalla, mi fiondai dalle scale e sbattei la porta.
Per fortuna la scuola non era distante, ma arrivai comunque in ritardo. Nel corridoio mi fermai davanti alla porta della mia classe per riprendermi. Ero letteralmente a pezzi, e attesi che le pulsazioni del cuore si stabilizzassero. Preso un respiro, entrai.
“Signorina, lei è nuovamente in ritardo.” La voce inconfondibile della Strozzi, la prof d’italiano. A passo spedito mi avviai al posto.
Finalmente suonò la ricreazione. Schizzai fuori dalla classe come un razzo, verso agli armadietti, come da copione, per incontrare Martha, da quattordici anni la mia migliore amica.
“Allora, che mi racconti, Megan?”, mi domandò.
“Nulla Martha, sempre le solite cose. Quella strega di mia madre non la sopporto proprio più!”
“E che è successo questa volta?”
Le raccontai del mio risveglio.
“Tu al ballo questo sabato ci andrai?”
Io arrossii.
“Con chi?”
Poi mi disse che stava cercando di farsi notare da Brendon Hyde.
Finite le lezioni, accesi il cellulare: sette chiamate perse da mia madre e un messaggio da un numero sconosciuto. Ignorai le chiamate e mi concentrai sul messaggio: “dopo scuola fatti trovare nel parchetto, vorrei parlarti.”
Mi irrigidii, sudavo freddo. Non avevo mai dato il mio numero a persone che non conoscevo, ma spinta dalla curiosità decisi di andare.
Quando arrivò l’ottava chiamata di mia madre, riluttante le dovetti rispondere.
“Megan, quante volte ti ho detto che appena uscita da scuola devi chiamarmi immediatamente? Mi stavi facendo preoccupare. Tra mezz’ora ti voglio a casa. Niente storie!”
Le chiusi in faccia il telefono e mi incamminai verso il parchetto.
Non vidi nessuno. Decisi di aspettare qualche minuto. Ero troppo curiosa.

Poi una voce profonda mi chiamò:

“Megan della terza F, vero?”

Non potevo credere alle mie orecchie. Era davvero chi immaginavo? Oppure era solo uno scherzo?

Mi disse: “Non mi piace ripetere le domande.”

Mi girai lentamente. Di fronte a me c’era Brandon Hyed.

Annuii in silenzio, iniziando a divenire infuocata.

Lui si avvicinò. Mi guardò con aria di sfida e mi domandò: “Ti sei forse mangiata la lingua?” Mi irritò a tal punto che gli risposi a tono: “No, mister egocentrico.”
Resami conto della risposta che gli avevo dato, sarei voluta sprofondare.
Balenò un guizzo nei suoi occhi. Si avvicinò un po’ di più, finché tra noi rimase solo qualche centimetro. Ero ipnotizzata.
Ci guardammo per secondi interminabili, poi mi decisi a chiederglielo: “Come hai fatto ad avere il mio numero?”
“Essere il ragazzo più popolare della scuola ha i suoi vantaggi. Non mi dire che non hai mai voluto conoscermi o passare un po’ di tempo da soli come stiamo facendo adesso.”
Ero allibita.
Da sempre sono attratta da Brandon ma non l’ho mai confidato a nessuno, nemmeno a Martha.
Cercai tutto il coraggio dentro di me per rispondergli: “No. Mai.”
Allora mi squadrò per capire se stessi mentendo.
“Hai il coraggio di dimostrare quello che mi hai detto?” e si avvicinò fino a farmi sentire il suo respiro sul collo.
Iniziai a vacillare: il mio corpo reagiva agli istinti primitivi degli esseri viventi. Mi sporsi in avanti e lo baciai.
I suoi occhi sgranati. Ci lasciammo andare.
Quando cominciai a rendermi conto di quello che stava accadendo, mi bloccai e divenni di ghiaccio. Mi staccai da Brendon e guardai intorno.
Martha era lì. Immobile.
Lui mi guardò soddisfatto, ma io ero completamente assente. Lo sguardo da stoccafisso. Mi sussurrò all’orecchio:
“Lo vedi che avevo ragione?”
Con la sua aria gagliarda mi dette un bacio e scappò.
Il mio mondo si era appena distrutto.