Stefano Tofani è nato a Cascina (PI) e vive a Lucca da 15 anni. È laureato in Conversazione dei Beni Culturali all’Università di Pisa e lavora come redattore web presso il Comune di Lucca. Nel 2013 ha pubblicato il romanzo L’ombelico di Adamo (Giulio Perrone Editore), vincitore del Premio Villa Torlonia a Roma, e nel marzo 2018 il romanzo . Ha pubblicato anche alcuni racconti, quasi tutti con lo pseudonimo Stof nella rivista Toilet (80144 edizioni). Grazie ai racconti ha vinto il Premio Città di Capannori 2016 e per due volte (2008 e 2017) il premio FantasticHandicap del CDH Carrara, per il miglior racconto sulla tematica della disabilità.
- Parlaci un po’ di te. Spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami fare e qual è il ruolo della scrittura nella tua vita.
Nel tempo libero mi piace stare in famiglia con i miei due bambini, uscire con gli amici, leggere, viaggiare. La scrittura ha un ruolo importante, ma posso stare parecchio tempo senza scrivere. In quei periodi comunque mi annoto cose che vedo e che sento, frasi che mi colpiscono. Come diceva Tondelli “uno scrittore lavora sempre”. La scrittura purtroppo ha un ruolo anche marginale, schiacciata dalla vita quotidiana, dagli impegni. Non è facile trovare il tempo per scrivere (spesso scrivo di notte), e impone dei sacrifici anche a chi vive insieme a me, alla mia famiglia. Soprattutto quando sono immerso nella scrittura di un romanzo: mi devo isolare, scrivere il più possibile. E anche se ci sono “fisicamente” spesso ho la testa altrove.
- Se ti chiedessi di parlare di cosa provi quando scrivi, dei tuoi conflitti, delle tue paure, cosa risponderesti?
Quando scrivo non penso al resto. Penso solo alle parole, alle frasi, ai personaggi, a ciò che deve prender vita sulla pagina. È un momento di libertà assoluta dove le mie paure non si affacciano, o se lo fanno assumono una forma letteraria, si insinuano silenziose in una storia, senza che io sul momento me ne accorga.
- Quando hai cominciato a scrivere? Che cosa ti ha spinto a farlo?
Ho sempre amato scrivere, fin dalla scuola elementare: quando c’era da fare il tema libero ero felice. Il mio primo racconto tuttavia l’ho scritto a vent’anni, quando fui costretto a letto dopo un’operazione al ginocchio. Lo scrissi su un’agenda e lì è rimasto. Ricalcava in modo spudorato lo stile di quelli che allora erano i miei scrittori preferiti: John Fante e Charles Bukowski. L’amore per la lettura e una vita reale priva di distrazioni o impegni mi avevano condotto alla scrittura. Credo che sia un percorso comune a molti. Dopo quel racconto ne scarabocchiai qualche altro, cercando a poco a poco di compiere il passaggio più difficile: crearmi uno stile personale, una voce riconoscibile.
- Scrivere, per te, è un modo per…
Per isolarmi, per passare del tempo da solo con me stesso, per capirmi. Ma soprattutto per vincere la noia, divertirmi, vivere altre vite. La scrittura per me è una forma di evasione, come e anche di più della lettura. Scriverei anche se non pubblicassi. Cito Virginia Woolf: “Scrivere è il piacere profondo, essere letti quello superficiale”.
- Nello scrivere hai un approccio più schematico (es. utilizzo di scalette da sviluppare) o più istintivo (scrittura di getto)?
Proprio perché scrivo per divertimento non ho un approccio schematico, non seguo scalette. La trama si sviluppa mano a mano che vado avanti a scrivere. Più che lo scrittore mi sento il primo lettore: voglio sorprendermi, emozionarmi, ridere per quello che sta succedendo o che succederà. Se lo sapessi già non potrei farlo. E capita spesso di iniziare con un’idea e ritrovarmi da tutt’altra parte. Anche nell’ultimo romanzo (Fiori a rovescio, edito da Nutrimenti) succedono delle cose che quando ho cominciato a scrivere non avrei mai immaginato. Quindi: approccio istintivo per quanto attiene ai contenuti, ma molto più meditato per quanto attiene alla forma. La scrittura passa attraverso un lungo processo di revisione, le parole raggiungono quella forma dopo mille ripensamenti. Mi sforzo di trovare la parola giusta per senso, forza, musicalità. Le frasi devono scorrere, il testo deve avere un suo ritmo e una sua energia: deve essere quasi una cosa viva, e solo le parole adatte possono renderlo tale.
- Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
Il romanzo che ha rivoluzionato la mia vita è stato il primo che ho letto, perché mi ha insegnato il piacere della lettura, la bellezza di perdersi in un libro. Era “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne, avevo 10 o 11 anni.
- Che cosa consiglieresti agli aspiranti scrittori? Cosa, invece, suggeriresti di evitare?
Consiglio di leggere il più possibile, racconti, romanzi, poesie. Classici e contemporanei. Conoscere i maestri, i virtuosi, quelli che usano la lingua in modo originale. La lingua prima di essere usata va conosciuta e amata. Poi è necessario trovarsi un proprio stile. Un consiglio per la pubblicazione: passare dai concorsi letterari, utili ad avere un riscontro del proprio lavoro. È sempre difficile l’autovalutazione, sapere se quello che stiamo scrivendo funziona oppure no. Solo gli altri ce lo possono dire, solo gli altri possono aiutarci a migliorare.
- Quali sono gli ingredienti perfetti per un buon romanzo?
Un buon romanzo a mio giudizio deve divertire, emozionare e far pensare, usando un linguaggio curato e scorrevole. E deve farti venir voglia di conoscere sia i personaggi sia l’autore.
- Hai nuovi progetti in vista? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Ho appena pubblicato il secondo romanzo, Fiori a Rovescio (Nutrimenti) a cinque anni di distanza dal primo (L’ombelico di Adamo). Ho poi un romanzo breve per ragazzi già ultimato che prima o poi spero di pubblicare. Per un nuovo libro vedremo… Di certo, come i primi due, sarà ambientato nel borgo immaginario di Cùzzole, un piccolo mondo solo mio. Solo lì riesco a scovare delle storie.