Flavia Piccinni (Taranto, 1986) ha trascorso l’adolescenza a Lucca. Scrittrice e giornalista, ha pubblicato tre romanzi (Quel Fiume è la notte, Fandango; Lo Sbaglio, Rizzoli; Adesso Tienimi, Fazi) e un saggio sulla ‘ndrangheta (La malavita, Sperling&Kupfer). Ha vinto numerosi premi letterari (fra cui il Campiello Giovani) e radiofonici (l’ultimo è il Marco Rossi). È coordinatrice editoriale della casa editrice Atlantide. Collabora con diversi giornali. E’ autrice di documentari per Radio3 Rai e Rai1. Il suo ultimo libro è “Bellissime” (Fandango Libri, 2017), che ha prodotto due interrogazioni parlamentari e un DDL, ed è finalista al Premio Benedetto Croce e al Premio Alessandro Leogrande.
- Parlaci un po’ di te. Spiegaci in poche parole chi sei, cosa ami fare e qual è il ruolo della scrittura nella tua vita.
Faccio cose fra loro molto diverse, ma tutte hanno a che vedere con la parola. La lettura, e la scrittura sono come un caffè di prima mattina: senza, non avrei la forza di fare altro.
- Se ti chiedessi di parlare di cosa provi quando scrivi, dei tuoi conflitti, delle tue paure, cosa risponderesti?
Si legge per conoscere il mondo. Si scrive per sconfiggere le proprie ossessioni, e raccontare storie che diventano demoni.
- Quando hai cominciato a scrivere? Che cosa ti ha spinto a farlo?
Da bambina giravo sempre con un block notes e una penna. Volevo documentare che cosa mi accadeva intorno. Nell’adolescenza la scrittura è divenuta – prima con un giornale locale e poi con il mio esordio a diciotto anni, dopo aver vinto il Premio Campiello Giovani – uno strumento per avvicinarmi e conoscere ciò che mi circondava.
- Scrivere, per te, è un modo per…
Sopravvivere.
- Nello scrivere hai un approccio più schematico (es. utilizzo di scalette da sviluppare) o più istintivo (scrittura di getto)?
Dipende da quello che bisogna tradurre in parole. Sul mio ultimo libro “Bellissime” ho lavorato per anni incontrando persone, leggendo saggi e reportage, interrogandomi sul senso dell’infanzia e della bellezza. Ne è nato un reportage inchiesta dall’impostazione fluida, scritto però con una grande rigidità schematica.
- Qual è il romanzo che ha “rivoluzionato” la tua vita conducendoti alla scrittura?
A quattro anni, Pinocchio di Collodi. Avevo una maestra che mi faceva lezione privata tutti i pomeriggi, e mi obbligava a leggere ogni pagina dieci volte. Fino a quando non la leggevo perfettamente. Se sbagliavo la nona volta una parola, o una pausa, dovevo rileggerla altre dieci volte. E così via. Nell’adolescenza poi Camus. E i russi. E gli italiani: la scoperta di Ercole Patti, Irene Brin e Ennio Flaiano mi hanno rivoluzionato la vita.
- Che cosa consiglieresti agli aspiranti scrittori? Cosa, invece, suggeriresti di evitare?
Non abbiate l’ansia di pubblicare, ma abbiate l’ansia di leggere.
- Quali sono gli ingredienti perfetti per un buon romanzo?
La sincerità.
- Hai nuovi progetti in vista? Stai scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Sto lavorando a un progetto per il cinema. In primavera verrà ripubblicato, a undici anni dalla sua prima uscita, il mio esordio “Adesso Tienimi”. E a ottobre uscirà il mio nuovo libro, scritto a quattro mani con Carmine Gazzanni.